Associazione Socio-Culturale il Castello San Martino - Piazza Principe Umberto Nr. 7 - 89029 San Martino di Taurianova (RC) 

Giulio Nasso

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New York. Giulio Nasso, originario di San Martino di Taurianova è uno degli uomini più ricchi e più potenti d’America. Nella sola New York centinaia di grattacieli portano il suo nome. Tra le sue creature più famose: il Madison Square Garden, il New York Conuention Center, il Police Headquarter, La Chase Manhattan Bank, la Rockfel­ler University, il famosissimo grattacielo della General Motors.

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New York. Giulio Nasso riceve una targa da Joe Mariano, presidente della United Calabrese of America del New Jersej. C’è una cosa di cui Giulio Nasso è fiero: è il far parte del collegio degli arbitri in fatto di vertenze riguardanti il cemento armato, qualifica questa che lo annovera tra i pezzi da 90 dell’industria americana.

Giulio Nasso costruttore calabroamericano

Un Ragazzo di San Martino tra i grattacieli di New York

Il nuovo Re Mida di New York(*)

di Pino Nano

 

A costruire alcuni dei più noti grattacieli di New York è stato un ingegnere di origini calabresi. Si chiama Giulio Nasso. Lasciò il suo paesello, San Martino di Taurianova, quando non aveva ancora 18 anni. Oggi ne ha quasi sessantacinque, e la stampa specializzata di questo paese lo indica come uno degli industriali più accreditati d’America.

Nel suo studio, situato nel cuore geografico di Midtown, è la zona di Manhattan compresa tra la 34a Strada e la 59a e tra l’Hudson e l’East River, Giulio Nasso ricorda la sua infanzia poverissima. Poi spiega qual’è stata la chiave del suo grande successo: «Volevo poter ritornare in Calabria dimostrando ai miei vecchi amici e compagni di gioco di essere riuscito a vincere la grande sfida americana. Quando lasciai la Calabria, dell’America conoscevo soltanto la bandiera a strisce bianche e rosse con le stelle sul fondo bleu. Laggiù in Calabria tutti noi credevamo che l’America ci avrebbe inghiottiti tutti e con noi avrebbe divorato le nostre illusioni. Ma avevamo tanta rabbia in corpo e tanta voglia di dimostrare a noi stessi che poteva anche verificarsi il contrario. Nel mio caso ho vinto io. Se fossi rimasto in Calabria avrei fatto la fame per tutto il resto della vita. Nella migliore delle ipotesi avrei imbracciato una lupara e mi sarei dato al brigantaggio, magari sarei finito in carcere. Molti miei vecchi amici di infanzia oggi sono in carcere per i reati più vari. Un vecchio proverbio dice che chi frequenta lo zoppo incomincia a zoppicare: sarebbe accaduto anche nel mio caso. Decisi allora di rischiare e mi imbarcai sul primo battello utile. Quando arrivai a New York, dopo 15 giorni di navigazione in un mare in tempesta, baciai la terra americana e giurai a me stesso che da li sarei tornato in Calabria solo se avessi vinto la mia guerra privata con questa terra straniera di cui nulla sapevo».

Delle sue origini calabresi Giulio Nasso conserva il temperamento, cocciuto e caparbio; l’aspetto fisico, tarchiato e robusto; il suo accento italiano, cadenzato e quasi volgare; la sua faccia, bonaria e sorridente; la sua eterna passione per le patate bollite e la verdura cotta; il grande amore per la «sua» Piana.

Ma la Calabria che Giulio Nasso ricorda forse non esiste più. È la Calabria poverissima che Fortunato Seminara racconta mirabilmente nelle sue opere più belle.

Era la Calabria dei cafoni, dei contadini affamati dalla terra, delle donne sconfitte, donne coperte da scialli neri, quasi sempre a lutto. Madri o spose infelici, vittime della violenza di queste contrade. Era la Calabria delle vedove bianche, le spose dei tanti emigranti che partivano e ritornavano solo dopo vent’anni. Ricordo a questo proposito una vecchia foto d’epoca donatami da una donna in una delle tante campagne del vibonese: la foto la ritraeva con in braccio un bimbo morto.

Era la foto che si mandava al marito emigrato, per fargli conoscere il figlio che anni prima lui stesso aveva concepito ma che non aveva potuto vedere nascere e che ora Gesù si era ripreso in cielo. Facevan tutte così le donne di allora. Madri e spose senza sorriso e senza speranze.

Della sua Piana «Giulio Nasso ricorda soprattutto la straordinaria bellezza degli aranceti e la possente fierezza degli immensi uliveti. Ricorda gli aranci che lambivano il mare, e i limoni che crescevano grandi come cocomeri. Ricorda gli ulivi secolari che inseguivano la vecchia strada ferrata, e che separavano il Mesima dal Petrace. Questi ulivi e questi aranci non ci sono più. Al loro posto ci sono le banchine fredde e inutili del nuovo porto di Gioia Tauro. Le ruspe hanno distrutto centinaia di ettari di giardini fioriti, hanno raso al suolo le illusioni di chi, come il vecchio ed indimenticabile Leonida Répaci, credeva che la ricchezza della terra dipendesse dal numero dei nuovi germogli più che dai miliardi delle nuove burle di Stato.

Se Giulio Nasso venisse oggi in Calabria e guardasse la «sua Piana» dall’alto di un elicottero non la riconoscerebbe più, se ne ritornerebbe a Manhattan più solo e più triste di prima.

Delle sue origini Giulio Nasso ha conservato la semplicità dell’uomo rude, educato al lavoro e al rispetto dell’uomo. A New York in questi anni ha Costruito una immensa fortuna. È diventato uno degli uomini più ricchi della città. Non a caso, forse, non c’è uomo di Governo che venendo qui dall’Italia non visiti la sua casa. Il suo nome fa parte ormai della storia vera di questa nazione così florida, e certamente l’America lo ricorderà per tutto il resto dei suoi giorni come il «padre» del famosissimo Madison Square Garden, sulla 8a Avenu: è qui, all’incrocio con la 48a Strada, che Nasso ha realizzato uno dei templi sacri dello sport americano.

Per una ragione mai chiarita la costruzione di questo edificio, nel 1968, causò la distruzione della Penn Station, che venne rasa al suolo per ricavare spazio: per Giulio Nasso furono momenti difficili, l’opinione pubblica si divise in due, alla fine la spuntò ancora lui, il vecchio «contadino» di San Martino di Taurianova, trasformando il Madison Square Garden nel solo vero monumento nazionale dello sport americano. Da quel giorno Giulio Nasso diventò un mito ed un simbolo per tutta l’America.

Arrivarono le prime commesse importanti, e con esse arrivò il riconoscimento ufficiale della grande finanza mondiale, che vedeva in Giulio Nasso un managers tra i più seri e affidabili di New York.

La sua firma compare ancora sulle torri dei grattacieli più famosi della città, quello della General Motors, di fronte al Plaza, all’angolo con la Quinta Strada, affacciato sul verde di Central Park. Poi, ancora, quello che oggi ospita la Chase Manhattan Bank una delle banche più prestigiose del mondo. Nasso ricorda il suo passato con un pizzico di orgoglio. Di giorno faceva il lustrascarpe, di notte studiava. E arrivato il successo, con il successo è arrivata la ricchezza.

Alle sue dipendenze ha oggi più di 2 mila operai; più dei due terzi sono calabroamericani. Qualcuno qui, molto scherzosamente, lo chiama «Re Giulio», ma è una di quelle definizioni che non ama. In questo, almeno, è rimasto fedelissimo alle sue origini poverissime. «Se non avessi avuto tanta fortuna - riconosce - sarei stato anch’io uno qualunque». A New York, la sua è una di quelle storie che si insegnano ai bambini delle scuole.

Serve a far capire loro che dietro la ricchezza sfrontata e immensa di questo vecchio signore c’è soprattutto tanta cocciutaggine e tanto lavoro.

«Sulla mia tomba - confida agli amici più cari - scriveteci soltanto: «Qui giace Giulio Nasso, un ex ragazzo di Calabria che non tradì mai la sua terra». E l’unico momento in cui l’emozione lo tradisce e nei suoi occhi si affacciano le lacrime. Si sfalda così anche il mito del «duro».

 

L’associazione culturale Castello si limita solo ad aggiungere che Giulio Nasso è nato il 28 novembre 1906 al civico 14 di Piazza Principe Umberto, da Francesco e Domenica Galluccio ed è deceduto a New York il 23 ottobre del 1999.

 

* Tratto dal libro Calabriamerica 415 pagine “La Provincia di Catanzaro” 1^ adizione 1991 di Pino Nano a cui va un particolare e speciale ringraziamento per la gentile concessione.

 

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Washington. Terzo da sinistra, Giulio Nasso in compagnia dei suoi fratelli e del console generale d’Italia Vieri Traxler subito dopo aver ricevuto il titolo di Grande Ufficiale. Giulio Nasso appartiene ai più prestigiosi clubs italoamericani di New York, tra questi: il mitico Columbus Club, che organizza la sfilata sulla Quinta strada nel giorno dedicato a Cristoforo Colombo.

 

 

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