Associazione Socio-Culturale il Castello San Martino - Piazza Principe Umberto Nr. 7 - 89029 San Martino di Taurianova (RC) 

"La Madonna del Gagini

nella Chiesa parrocchiale di San Martino"

 

di Domenico Caruso

 

Nella storia della Calabria, il nostro paese S. Martino ricoprì - dall’XI al XIII secolo - un ruolo molto importante.

La “Vallis Salinarum” o “Planitiae Sancti Martini” corrispondeva, in buona parte, all’odierna “Piana di Gioia Tauro”.

Nella Diocesi di Mileto rappresentavamo il XXI Vicariato con 7 Luoghi (Casalnuovo, Radicina, Iatrinoli, Rizziconi, S. Martino, Gioja e Drosi) nei quali vi erano 7 Chiese parrocchiali e altrettanti sacerdoti.

La nostra decadenza cominciò allorquando, dalla parte opposta del Marro, sorse la città di Terranova. Ma l’evento determinante fu “Il Flagello” del 1783 che sconvolse l’intera Regione: “Centoventi secondi bastarono a non lasciare in piedi per così dire una casa per l’estensione di 60 leghe quadrate circa, ed a seppellire 32 mila abitanti sotto le macerie”. (F. Lenormant)

Anche nel campo spirituale avevamo raggiunto traguardi notevoli. Basta pensare alla Bolla Pontificia di Urbano II del 1098 riguardante la Chiesa di San Salvatore (a noi vicina) e, successivamente, alle nobili figure di Frate Angelo (teologo e oratore sacro) e di Frate Francesco - entrambi di S. Martino - che nel 1500 onorarono l’intera Regione.

Il sisma aveva cancellato, fra l’altro, numerose opere d’arte custodite nei luoghi sacri. Per fortuna si è salvata la Madonna col Bambino, proveniente dal tempio di “Santa Maria della Colomba” - (che dagli atti di Mileto risulta col nome di “S. Maria delle Grazie”).

La pregevole statua si può ammirare nell’attuale Chiesa parrocchiale edificata in località “L’Abbadia” dopo il disastroso terremoto. Essa è composta da un “gruppo marmoreo cinquecentesco, scolpito a tutto tondo e a figure intere, su base poligonale figurata”. (E. Barillaro - “Calabria” - Guida artistica e archeologica).

L’effigie, a grandezza naturale (è alta m.1,60), poggia sopra uno scannello di 30 cm. nel quale sono rappresentate due scene dell’Annunciazione e quella di San Martino che porge la metà del suo mantello ad un povero.

I delicati lineamenti del volto della Vergine, i suoi lunghi capelli ondulati ricoperti da un velo sottile, la raffinatezza ed i movimenti delle forme e dei panneggi, il Bambino sorridente, nonché il confronto con altre sculture del genere, ci forniscono la prova più evidente che la statua appartiene alla prestigiosa Scuola siciliana di Antonello Gagini (Palermo 1478 - ivi 1536).

E qui la storia s’intreccia con la leggenda.

Si narra, infatti, che l’imponente immagine scultorea - sepolta dal terremoto -fosse stata scoperta da un contadino del luogo mentre dissodava un suo terreno con l’aratro. Trasportata d’urgenza nel nuovo sito con un carro trainato da validi buoi, fu - quindi - festeggiata e sistemata su un altare della parete laterale sinistra della chiesa.

Purtroppo, il primitivo candore dell’opera - definita anche “S. Maria delle Grazie” - si presenta alquanto offuscata dal tempo, il bimbo presenta gli arti superiori e inferiori mal sistemati, così pure la mano destra della Divina Madre: l’intero gruppo necessiterebbe di un adeguato restauro.

I sammartinesi sono molto devoti alla Madonna, titolare fra l’altro della Parrocchia che porta il nome di “Maria SS. della Colomba”, e sarebbero ben lieti di vedere coronato questo sogno lungamente atteso.

Molti ricordano ancora con nostalgia l’episodio del novembre 1950, quando sulla collina antistante il paese, dove sorgeva l’antico “Castello” - sede del solenne Parlamento del 30 Marzo 1283 che decise le sorti del Regno, nel punto stesso del ritrovamento della statua alcuni fedeli sognarono che vi fosse sepolta un’altra immagine della Madonna. I più volenterosi con vanghe e picconi frantumarono senza sosta i pesanti ruderi, mentre la cittadinanza si recava in pio pellegrinaggio pregando e osannando. Anche se la nuova statua non venne mai alla luce, molte furono le conversioni e dal terreno dissodato continuano a spuntare dei candidi gigli che diffondono tutto intorno un delizioso profumo.

 

 

Fra i numerosi servizi sull’argomento, pubblicati dall’Autore, segnaliamo:

 

 1) Domenico Caruso, Storia e folklore calabrese - Centro Studi “S. Martino” - 1988;

2) “La Piana” - mensile di informazione locale - Palmi (RC) - Anno IV n. 11 - Nov. 2005;

 3) “Storicittà” - Rivista d’altri tempi - Lamezia T. (CZ) - Anno XVII n. 162 - Maggio 2008.

 

 

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