Associazione Socio-Culturale il Castello San Martino - Piazza Principe Umberto Nr. 7 - 89029 San Martino di Taurianova (RC) 

Salvatore Carrozza

Salvatore Carrozza
2 luglio 1910
18 aprile 1944

Il Partigiano Salvatore Carrozza

 

La resistenza parlava anche sammartinese

Il partigiano Salvatore Carrozza

Un giovane di San Martino s’immola per la libertà a soli 34 anni

Monticelli Terme, Parma - ore 5.00 del 18 aprile 1944.

 

Questa singolare storia riguarda un ragazzo di San Marino di nome Salvatore Carrozza nato a Jatrinoli (l’attuale Taurianova) il 2 luglio del 1910 da Giuseppe (16.12.1880 – 07.06.1947) e Maria Maiorca (29.07.1888 – 08.11.1961) e che negli anni 40 fece parte di un distaccamento partigiano denominato “Griffith” che operava in provincia di Parma durante la guerra di liberazione, qui trovò la morte il 18 aprile 1944 per mano dei nazi-fascisti. Il suo corpo riposa per sempre nel cimitero di Monticelli Terme (PR), in quel luogo una lapide marmorea ricorda la guerra di liberazione dove impresso c’è anche il nome di Salvatore Carrozza, un figlio di San Martino, caduto per la libertà dell’Italia. Nel 1984, nel 40° anno della ricorrenza, ai parenti di Salvatore Carrozza, il Comune di Montechiarugolo ha consegnato una medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

Riportiamo quello che, R.L. Cattelani, nel 1984 scrisse nel libro “Afro Fornia nel 40° anno del sacrificio 18 aprile 1944” e che descrive nei particolari quello che accadde i primi mesi del 1944 in provincia di Parma e come si conclusero i fatti la mattina del 18 aprile 1944. Il libro è una pubblicazione del Comune di Montechiarugolo, Parma.

 “”….………prima di proseguire nella rievocazione dei fatti nei quali ebbe parte Afro Fornia, occorre rifarci alla costituzione e agli sviluppi del Distaccamento Griffith nel quale venne ad operare il nostro patriota. Riprendiamo in buona parte le notizie dalle (memorie) di Guglielmo Catuzzi (Catullo) e di Francesco Bertozzi (Tito). Fu in una sera di bufera di neve - il 20 febbraio del 1944 - che un gruppo di (ribelli) parmigiani e calestanesi convenuti in casa di Antonio Porta (Franco) in località Ciano di Fragno di Calestano si accordarono per costituire, secondo le direttive impartite dal Comitato d’azione antifascista di Parma, un distaccamento partigiano. Il comando venne assunto da Gino Buraldi (Duilio), antifascista, ex sergente reduce di Jugoslavia, dove aveva avuto contatti con la resistenza di quel paese. Ario Comelli (Raoul) ebbe l’incarico di commissario.

Il distaccamento assunse il titolo di Griffith per onorare la memoria di Enrico Griffith (Parma, 8.8.1901 - Napoli, 13.7.1930) vittima del fascismo che lo aveva relegato al confino di Ponza.

Dalla Val Baganza il Griffith si trasferì in zona Lag-dei-Lago Santo, per spostarsi tosto a Pianadetto di Monchio. Da qui proseguì per attaccare il posto di avvistamento aerei di Rigoso: azione riuscita che procurò al reparto un buon numero di armi (16 marzo).

Scesi a Capoponte, i patrioti occuparono l’ammasso granario e procedettero alla distribuzione gratuita delle scorte.

Ma una tal serie di imprese condotte con tanta audacia mise in seria riflessione il comando fascista di Parma, tanto da determinarlo a considerare la necessità di mettere in atto misure repressive per debellare le formazioni partigiane.

Indotti anch’essi a ponderare le prevedibili conseguenze delle loro azioni, i patrioti del Griffith decisero al momento di separarsi per destinazioni diverse con l’accordo di ritrovarsi una settimana dopo in località La Brugnara, sita tra il Monte Vitello (m 1052) e il Monte Montagnana (m 1313), a cavallo tra la Val Baganza e la Val Parma, avendo da una parte Calestano e Ravarano e dall’altra, di là dal torrente, Tizzano e Musiara Inferiore.

Ricostituito il distaccamento nel luogo convenuto, altri giovani entrarono nella formazione, così come fecero i già citati Afro Fornia e Giuseppe Bologna.

Guglielmo Catuzzi ricorda con affetto l’amico Fornia, prontissimo nelle azioni più ardite e nelle pause della lotta ottimo compagnone; con Fornia e con Gino Bertoh, Catuzzi trascorse più spesso le ore dalla ricostituzione del Griffith in La Brugnara fino alla tragedia che seguì.

Ma riprendiamo il resoconto della vita del reparto.

Al fine di acquisire informazioni utili alla sosta provvisoria del Distaccamento e quindi per reagire ad eventuali piani degli avversari, il comandante Duilio, con Antonio Nadotti (Vittorio) ed Amilcare Zinelli, si recò nella zona di Tizzano Val Parma.

Giunti a Musiara Inferiore i tre si concedettero una sosta nell’osteria, ma tanto bastò perché qualcuno informasse il presidio di Tizzano che inviò immediatamente una squadra di militi i quali si appostarono alle finestre dell’osteria e freddarono a raffiche di mitra i patrioti (25 marzo).

Dopo il grave fatto, il comando del Griffith venne assunto da Fortunato Guarnieri (Tiberio) che guidò il reparto in varie azioni per procurare armi, munizioni e quant’altro necessario.

Fra l’altro le squadre si spinsero fino a Felino, ma più spesso batterono la Valparma tra Beduzzo e Ghiare di Corniglio.

E sempre per frastornare lo spionaggio, che nel frattempo si era fatto più attivo, si mutò di continuo la tattica degli attacchi, come pure si cambiarono gli obiettivi, le basi e la durata delle soste.

Ma ecco che i soliti delatori segnalarono, a fine marzo, la presenza del Griffith in località La Linara, sulle pendici occidentali del Montagnana, e precisamente sull’estremo fianco destro del Rio Armorano, affluente di destra del torrente Baganza, sopra un costone che si prestava a tener sotto controllo le provenienze da Calestano e da Ravarano.

Il comando della G.N.R. di Parma dispose perciò l’immediata spedizione di un centinaio di uomini allo scopo di stringere d’assedio i ribelli e catturarli.

La sorpresa però non riuscì ed il contrattacco dei patrioti fu tale da volgere in ritirata gli assalitori (2 aprile).

Di conseguenza il Griffith abbandonò La Linara e si rifugiò in via provvisoria sul Montagnana, in località Il Corno (m 1193), stante la possibilità di ripararsi nel rustico della famiglia di Eugenio Magnani la quale disponeva di un fabbricato a due piani, con un buon numero di stanze, due fienili, due stalle, un portico per gli attrezzi e, di fronte all’ingresso principale, un locale con forno. Cascinale denominato appunto Casa del Corno o Casa del Bersagliere, distante circa un chilometro dal culmine del Monte.

La maggior parte dei partigiani si sistemò nel fienile principale, una decina poté alloggiare nella cucina e in una stanza, altri due nella stalla dei muli.

Confidando nei servizi di guardia e di pattuglia, nonché nella favorevole posizione della base, dominante da una parte la Valparma e, dal prato soprastante, la Val Baganza, si rinviò di qualche giorno lo spostamento del reparto.

Avvenne poi (8 aprile) che una pattuglia informata della presenza sull’autocorriera in partenza da Corniglio per Parma di due militi e di una guardia forestale armati, bloccò l’automezzo per disarmare i tre ed anzi catturarli per tenerli in ostaggio.

I tre prigionieri, furono poi processati, ma riconosciuti degni di fiducia fu loro promessa la libertà non appena il Distaccamento si fosse spostato altrove.

Il 13 aprile, essendo stata comunicata al comandante Tiberio, sceso al Mulino di Val Moneglia con Uber, l’allarmante notizia di un prossimo attacco tedesco ai partigiani del Montagnana, si decise di apprestarsi al trasferimento, poiché l’informazione era da prendersi in assoluto valore in quanto trasmessa via fedelissime staffette dall’amico Edoardo Ghillani, interprete presso il comando tedesco di Salsomaggiore, a Tito di Calestano il quale si era affrettato a recarsi con Pierino Cavagni all’incontro convenuto con Tiberio.

Quella sera stessa vennero lasciati liberi i tre prigionieri giudicati degni di affidamento.

Peggiorarono frattanto le condizioni atmosferiche e si rinviò allora la partenza dal Montagnana.

Ma anche il giorno seguente il maltempo non accennò a migliorare, perciò il comandante dispose intanto di mandare a Ciano di Fragno per la solita provvista di pane Antonio Porta e (Mario lo Slavo) il quale si era offerto con una particolare insistenza.

Nessuno fece allora caso a quell’insistenza, ma quando qualche mese dopo si seppe che quello stesso (Mario lo Slavo) aveva fatto da guida ai tedeschi nella spedizione che il 17 ottobre del 1944 si era conclusa con l’eccidio del Comando Unico di Bosco di Corniglio, insorsero gravi sospetti intorno alla smania manifestata dallo (Slavo) per scendere a valle in quella indimenticabile sera del 14 aprile.

Va detto però che quei sospetti non trovarono mai conferma, così come sembra pure non al tutto accertata la colpevolezza volontaria dello (Slavo) nel caso della tragedia di Bosco.

Ma torniamo alla sera del 14 aprile quando sul Montagnana continuava a imperversare la bufera.

Convinti dunque di poter rimandare ancora lo spostamento della base senza correre pericolo alcuno, quelli del Griffith si limitarono a disporre il solito servizio di sicurezza.

I tedeschi invece, proprio in ragione della complicità che offrivano la fitta oscurità e le folate di vento, misero in atto il loro piano di attacco con due puntate offensive simultanee risalenti i versanti da Ravarano e da Signatico guidate da esperti dei luoghi.

Verso le 3 e 1/2 del 15 aprile i tedeschi provenienti da Ravarano s’incontrarono a trecento metri circa dalla Casa del Corno con gli emissari fascisti Elio Podestà e tale Mori, i quali, infiltratisi nel Griffith da tempo, svolgevano, per loro espressa scelta, servizio di guardia al sopraddetto bivio.

I rumori dei tedeschi in avvicinamento richiamarono però l’attenzione di altre due sentinelle e di una pattuglia vigilanti presso la casa: costoro risalirono la mulattiera ma furono catturati.

Il caso si ripeté per un’altra coppia di sentinelle che vigilava più a valle, presso il Rio dei Fontanini, ai margini del bosco, sulla provenienza da Signatico.

E fu così che anche da qui gli altri tedeschi ebbero buon gioco.

Risultava dunque ormai circondato il rifugio dei partigiani, ma per meglio controllare il posto gli attaccanti spararono alcuni razzi; e fu tale la luce che perfino a Fragno avvertirono il dramma che stava per verificarsi sul Montagnana.

Furono poi sparate contro il rustico alcune raffiche intimidatorie, seguite da un’ingiunzione di resa, pena la distruzione dello stabile.

Ma ecco che i tedeschi che avanzavano dalla parte sottostante la casa, allarmati dal tramestìo proveniente dalla stalla dei muli, lanciarono in quel locale una serie di bombe a mano che ferirono a morte Loris Minozzi (Al Grila) e Rodolfo Lori (Domenico).

Un’altra squadra di tedeschi si portò intanto all’ingresso della casa da dove uscirono alcuni partigiani, mentre altri profittarono per salire nella camera del primo piano.

I tedeschi non entrarono, ma lanciarono bombe a mano nelle camere soprastanti provocando così il crollo di parte del pavimento di legno sulla stalla delle mucche e sulla legnaia: tentarono allora i sei patrioti caduti nella stalla di sfuggire alla cattura uscendo con le mucche, ma lo stratagemma non riuscì.

Si scatenò in quel punto la reazione a fuoco dei patrioti ricoverati nel fienile grande appaiato alla stalla dei muli, ma entrarono in controazione i tedeschi e trovarono la morte Giovanni Comelli, Ivo Maniforti (Pluto) e Fernando Obbi (Managgia), mentre tre, ancorché ustionati e feriti riuscirono a trovar scampo nella fuga: e furono Ario Comelli, Bruno Cresci (Pepoto) e Nello Mattioli (Guido); quest’ultimo cadde poi in uno scontro sostenuto dal ricostituito Griffith in Langhirano (25.8.1944).

Cessato il combattimento, i tedeschi radunarono nella stanza del forno antistante l’ingresso della casa tutti i prigionieri e li fecero poi uscire a gruppi di tre per accertarsi che non nascondessero alcunché.

Furono rastrellate armi e munizioni: due Breda ‘34, un fucile mitragliatore, un Saint-Etienne, un parabellum e vari fucili e moschetti.

Furono pure apprestate due portantine per un caduto te desco e per un ferito grave.

Verso le sei circa arrivò un reparto di militi provenienti da Ravarano, ma i tedeschi non affidarono loro alcun incarico.

Era avvenuta nel frattempo la fuga di quattro delle sentinelle catturate all’inizio dell’azione, mentre sfuggirono alla cattura altri sette partigiani comandati di pattuglia nei dintorni.

Ne viene che il Griffith del Montagnana era dunque composto di una settantina di patrioti.

Disposti tutti i prigionieri inginocchiati a semicerchio nel campo sotto casa, i tedeschi perlustrarono ogni angolo dell’abitato e diedero poi alle fiamme paglia e fieno.

Si temette infine che i tedeschi volessero procedere ad una esecuzione generale, ma i prigionieri vennero poi divisi in squadre, caricati di vario bottino e quindi avviati a valle verso Ravarano.

Arrivarono a mezzogiorno passato e furono dati in custodia ad una settantina di militi che sfogarono sui prigionieri il loro livore colpendoli a calci e pugni.

Fatti salire poi su autocarri tedeschi, furono tenuti sotto sorveglianza dai militi.

A Parma i patrioti furono fatti scendere nel cortile della G.I.L. in Piazzale Volta, sede del comando tedesco. Qui sì procedette all’identificazione dei 56 prigionieri, nonché ad una prima inquisitoria.

Dopo il coprifuoco delle 22 vennero tutti nuovamente fatti salire sugli autocarri e trasferiti nelle carceri di San Francesco.

Il giorno dopo, 16 aprile, d’ordine del comando tedesco, venne (trasferito) in Cittadella Elio Podestà, quegli che si era mascherato sotto il nome di battaglia di (Il Genovese) e che aveva perfino condotto un’azione in Marzolara, per rivelarsi poi un infame traditore come il suo compare Mori egli pure (infiltrato) nel Griffith: entrambi malvagi custodi del posto di guardia sulla mulattiera dalla quale erano arrivati gli assalitori.

Del Podestà si seppe solo che era stato capitano dei carristi, del Mori si era conosciuta solamente la sua pratica nel curare e riparare armi in genere, né si era sospettato mai se non dopo la sua improvvisa inspiegabile scomparsa.

Restarono così in San Francesco 55 persone del Montagnana, comprendendo s’intende i cinque della famiglia Magnani: Eugenio, con la moglie e i figli Alberto, Arnaldo e Guerrino. I Magnani vennero però tosto prosciolti poiché i (ribelli), di comune accordo, avevano dichiarato di averli minacciati con le armi per ottenere la loro ospitalità.

Restarono adunque incriminati 50 patrioti che vennero però deferiti a due diversi corpi giudiziari: 13 a giudizio del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato; 37 a giudizio del Tribunale Militare Straordinario di guerra.

Il primo processo da tenersi il 17 aprile presso la Corte d’Assise di Parma, l’altro il giorno 20: quest’ultimo a porte chiuse.

Qualche sospetto insorse sulla separazione del merito dei tribunali, e forse non si può escludere che anche le vendette abbiano avuto parte nel distinguere. Comunque risultò evidente nella stessa condotta dei processi il prevalere del furore ideologico, sbrigativo, deciso a imporsi sotto il mascheramento formale di intenzioni precostituite, come qualcuno avvertirà poi.

Il 17 aprile, alle ore 9,30 circa, vennero condotti in tribunale i primi trédici accusati, ma dovendo rimediare ad un accertato scambio di persona in danno di Carlo Brambilla il processo poté aver inizio solo verso le ore undici.

Imputati di (reato contro la personalità dello stato fascista) ed in particolare di formazione, partecipazione a banda armata, di devastazione e saccheggio e di altri reati per un totale di trentatre capi d’accusa, i 13 patrioti non poterono trare alcun beneficio dalla difesa affidata all’avv. Scaffardi, al capitano della G.N.R. Coiro e ad un terzo legale che normalmente esercitava altra professione.

Il solo avv. Scaffardi ebbe l’ardire di protestare per l’inammissibile intimazione a limitare la difesa di ognuno degl’imputati ad un minuto.

Alla difesa non restò infatti che raccomandare clemenza.

Verso le undici e tre quarti venne emessa la sentenza.

Erano stati condannati a morte mediante fucilazione alla schiena: Giuseppe Brianti, Salvatore Carrozza, Guglielmo Catuzzi, Rino Costa, Anteo Donati, Afro Fornia, Fortunato Guarnieri e Peter Jovanovic.

Condannati invece a 26 anni di reclusione, perché minorenni: Walter Atti, Ugo Bocchi, Romano Carpanelli, Enrico Fanti, Enore Ferrari.

Richiesti se avessero da fare dichiarazioni, il solo Jovanovic chiese la parola. Dichiarò allora che in quanto cittadino jugoslavo respingeva l’accusa di alto tradimento poiché si era fedelmente battuto per il suo paese; che invece traditori del loro paese erano proprio quei giudici che gli stavano davanti!

A tanto ardire fecero immediato seguito tutti i condannati che intonarono il canto della loro fede:Avanti o popolo alla riscossa!.

Fatti risalire sul cellulare che li riportava in carcere passando per Piazza Garibaldi qualcuno notò che l’orologio della torre segnava le ore dodici!

Nel brevissimo spazio di un’ora o poco più era stato dunque aperto e chiuso quel processo all’evidenza viziato da un disimpegrio procedurale quanto mai insolente.

Giunti in San Francesco, gli Otto condannati alla pena capitale furono rinchiusi nella terza cella a sinistra del primo braccio a pianterreno.

Alle ore sedici si presentarono ai carcerati l’avv. Scaffardi ed il terzo legale per sottoporre loro la richiesta di sospensiva della condanna e subito trasmetterla a Salò.

Verso mezzanotte venne comunicato a Brianti, Costa, Guarnieri e Jovanovic che la loro domanda era stata accolta e perciò venivano trasferiti nella cella numero due.

Alle ore 4 del giorno 18 aprile, i quattro della cella 3 vennero avviati nel cortile accompagnati dal cappellano del carcere.

Pioveva ancora dal giorno prima.

Un plotone di militi aspettava i condannati presso un autocarro centinato.

Già i quattro si apprestavano a salire sull’autocarro dove si notavano quattro bare quando, all’improvviso, arrivò una staffetta motociclista che si fermò presso il tenente del plotone per consegnargli un messaggio urgente: era la sospensiva della condanna per il Catuzzi.

Gli altri tre furono fatti salire sull’autocarro dove prese posto anche il plotone di esecuzione ed ebbe inizio il funereo viaggio.

Nel registro dei carcerati intanto l’addetto aveva allora scritto: Salvatore Carrozza (scarcerato), Anteo Donati (liberato), Afro Fornia (liberato).

L’andata al Calvario dei tre ebbe termine a Monticelli Terme.

Afro Fornia, sceso davanti al cimitero del paese, si avvide dunque di esser stato perfidamente portato a morire a pochi passi da casa, sulla stessa strada che conduceva dai suoi, ignari in quell’ora della tragedia che si andava compiendo.

Erano ormai le cinque del mattino quando i tre partigiani vennero disposti presso il muro ovest del camposanto, mentre il plotone di esecuzione si allineava per adempiere gli ordini finali.

Nonostante gli accorgimenti adottati vi fu chi nascostamente vide e sentì tutto quanto accadde in quegli ultimi momenti.

Esaurite in breve le operazioni estreme seguì il comando di preavviso e quindi l’ordine: (Fuoco !), cui si accompagnò il grido dei patrioti: L’Italia vivrà!.

Nell’immediato dopoguerra infine, anche Monticelli Terme volle rendere ad Afro Fornia il suo tributo di onoranza ed intitolò al suo nome la piazza maggiore, là dove ogni anno si rinnova l’omaggio dei cittadini ai caduti di tutte le guerre.

Affratellati a Fornia negli ideali per cui avevano lottato fino al sacrificio, sono pure onorati nella lapide muraria del Cimitero di Monticelli Terme – La dove la loro vita venne stroncata e nelle dedicatorie dei marmi sepolcrali dei caduti della Resistenza della Villetta di Parma, Anteo Donati (Ezio), e Salvatore Carrozza (Bibi).

Anteo Donati, antifascista audacissimo, cresciuto all’esempio di quella decisa schiera di arditi del popolo che nell’Oltrettorente aveva umiliato le squadracce di Italo Balbo, si era apertamente battuto fin dai primi giorni della caduta del fascismo con tale ardimento da chiamare alla Resistenza numerosi proseliti.

Salvatore Carrozza umilissimo figlio del sud, uno dei tanti “richiamati”, pronti ad ogni sacrificio, bloccato qui al nord con l’8 settembre per non rivedere mai più la sua Taurianova, aveva sempre dimostrato a quelli che con lui avevano diviso ogni rischio e sofferenza fermissimo patriottismo ed antifascismo”.

L’autore, nella stesura del libro, ringrazia per le preziose testimonianze: Guglielmo Catuzzi, del distaccamento Griffith, Vittorino Marini, del distaccamento Picelli e Luigi Rastelli dell’I.S.R. di Parma, già Comandante della 31aBrigata Garibaldi (Copelli).

Tratto dal volume “Afro Fornia nel 40° anno del sacrificio”. di R.L. Cattelani.

 

 

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